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mondo lgbt

Le 2 mamme di Nicola

By 12 Giugno 2012Settembre 21st, 2019No Comments

Ripubblichiamo di seguito un articolo apparso lo scorso maggio su Reggionline.

Su gentile concessione del Direttore del giornale e di Daniele Paletta, il Reporter che ha scritto l’intervista vorremmo dare risalto a questo esempio di famiglia arcobaleno anche perchè possa essere uno spunto per tutti coloro percorrano una strada simile alla loro.

REGGIO EMILIA – “Vieni, accomodati”. Anna mi accoglie sorridente sulla porta dell’appartamento, una tana da single sconvolta prima dall’arrivo di un’altra persona, e poi – definitivamente – dalla comparsa di un figlio. Nicola ha sette mesi, gioca felice su un tappeto di gomma colorata. Si interrompe, mi scruta, afferra soddisfatto la mia barba, poi torna a giocare. Dopo pochi minuti, ecco Francesca: “Scusa il ritardo, un contrattempo al lavoro”. Ora la famiglia è al completo: Anna e Francesca sono una coppia da quasi sette anni, e Nicola è il loro figlio. Assieme, sono una dei pochi nuclei famigliari a Reggio Emilia che la comunità LGBT (acronimo che sta per lesbian, gay, bisexual, transgender) ha imparato a identificare come Famiglie Arcobaleno, dal nome dell’associazione che riunisce le realtà omogenitoriali, quelle i cui bimbi hanno due padri o due madri. Una realtà non troppo conosciuta, ma niente affatto rara: in Italia vi sono oltre 300 nuclei famigliari iscritti all’associazione, 7 dei quali (con altrettanti bambini) a Reggio Emilia.
Famiglie Arcobaleno è nata per dare voce e visibilità alle tante famiglie omogenitoriali, e lotta perché vengano riconosciute nell’ordinamento giuridico e nella società italiana. Una battaglia che passa anche attraverso iniziative come quelle di domenica 20 maggio, quando l’associazione proporrà assieme a Legambiente “Tutti uguali, tutti diversi”, una festa aperta a tutte le famiglie nei parchi di nove città italiane per imparare (giocando) a rispettare la natura e le differenze.
Anna ha 48 anni, è un’insegnante. La sua storia parla di un orientamento sessuale accettato tardi e di una voglia di maternità prima nascosta, poi negata, poi ritenuta impossibile e infine accolta. Il percorso di Francesca – 35 anni, rappresentante – è diverso: “Io sono stata sposata – racconta – Ma non ero felice. E ho sempre voluto un figlio. Non avrei mai pensato di poter vivere una storia senza avere bambini: quindi probabilmente la mia relazione con Anna non sarebbe andata avanti se lei non mi avesse detto da subito che anche lei voleva averne. Forse avrei vissuto, come molte donne e molti uomini, una vita di coppia poco felice pur di poter fare un figlio. E invece direi che è andata meglio così, perché ora sono felice. E ho un figlio”.
Nicola siede sul divano tra le due mamme. Ha lo sguardo curioso. Cerca l’attenzione delle due donne, è combattuto tra il sonno e la fame. Assieme, sono una famiglia come tante, con le stesse preoccupazioni per una pappa troppo calda, il cambio del pannolino, le ore di sonno da recuperare.
“E pensare che avevo abbandonato l’idea – mi dice Anna – E invece, piano piano, ho capito che anche gay e lesbiche possono avere figli. Ci siamo decise a febbraio 2009: abbiamo fatto insieme una telefonata, in viva voce, aGiuseppina La Delfa, la presidente di Famiglie Arcobaleno. E da lì è iniziato tutto”.
All’improvviso, Anna e Francesca sono state catapultate in una realtà nella quale hanno conosciuto altre coppie come loro, tutte unite dal desiderio di diventare genitori. “Ma i dubbi non sono scomparsi – spiega Anna – Le mie paure erano essenzialmente legate al mio non essere completamente visibile. Un figlio ti obbliga a un coming out totale. E’ andata bene: i miei colleghi sono tranquilli, ma i genitori di molti alunni, se sapessero, potrebbero creare problemi”.
Accantonati i timori, è arrivato il momento dei tentativi. E, come tutte le altre coppie omosessuali, anche Anna e Francesca sono state costrette ad andare all’estero. Qui la fecondazione eterologa non è permessa e la Fivet (acronimo di Fecondazione in Vitro con Trasferimento di Embrione) è fortemente limitata. Con il risultato che le cliniche spagnole, belghe, olandesi e danesi sono piene di italiani. “Per loro siamo un business – spiega Francesca – E non pensare che siano solo gay e lesbiche a provarci: sai quante coppie etero ci sono? Mi ha lasciato allibita”.
Per qualunque coppia, etero o gay che sia, questi tentativi hanno un costo psicologico ed economico altissimo, e spesso il figlio tarda ad arrivare: “Noi invece siamo state fortunate: siamo rimaste incinte al terzo tentativo”, raccontano, lasciando scivolare nella frase questo neologismo con una naturalezza niente affatto forzata.
Una volta che Francesca è rimasta incinta, però, davanti alle due donne si è spalancata una voragine agghiacciante di mancanza di tutele e di riconoscimenti legali. Per la legge italiana, queste famiglie – in cui solo uno dei due genitori ha un legame biologico con il figlio – semplicemente non esistono.
E’ Francesca ad avere i diritti di una madre. Anna no. Per la legge italiana, lei e la sua compagna sono semplici coinquiline. E quindi Anna non ha avuto alcun congedo per maternità (“E’ nato il giorno prima dell’inizio dell’anno scolastico. Alla sera ero in sala parto e il mattino dopo a scuola, distrutta”), né potrebbe decidere dell’assistenza sanitaria di Nicola, o della sua educazione. In futuro, non avendo con lui alcun grado di parentela, potrebbe essere costretta a ottenere da Francesca un permesso scritto per andare a prendere il loro bambino all’asilo. Fino al paradosso: poiché Francesca è, per la legge italiana, una madre single, godrà di agevolazioni sulle tasse di iscrizione a scuola, nonostante lei non sia affatto una madre single. Se un giorno la loro storia finisse e Francesca se ne andasse, Anna non avrebbe più il diritto di vedere Nicola.
Una serie infinita di problemi dai quali difendersi, affidandosi al buon cuore e all’intelligenza delle persone che si incontrano. E a una montagna di carte.
“Quando inizi a parlare di un figlio, la prima cosa che devi fare è andare da avvocato. E la madre biologica è sempre con le dita incrociate, perché ti danno per morta 10 volte al giorno”, sdrammatizza Francesca. “Io vivo nel terrore che le succeda qualcosa – le fa eco Anna – Abbiamo entrambe fatto testamento, stipulato assicurazioni e sottoscritto un patto di convivenza in cui dichiariamo che abbiamo iniziato insieme questo percorso e preso insieme ogni decisione”.
Anna e Francesca hanno dovuto mettere per iscritto il loroprogetto di genitorialità. “Ci siamo impegnate ad assumere di comune accordo ogni decisione relativa all’istruzione e all’educazione di Nicola – spiega Anna – Lei si impegna a rispettare il mio ruolo di madre affettiva, a coinvolgermi al momento della nascita, della crescita e dello sviluppo del figlio, mentre io mi impegno in caso della cessazione della convivenza a garantire un mantenimento. Poi, in caso di malattia, l’una autorizza l’altra ad assumere informazioni. Infine, Francesca mi nomina come tutore e possibile persona che può adottare Nicola: si tratta di un provvedimento speciale, possibile solamente in caso di morte del genitore biologico, perché in italia non è ammessa l’adozione da parte di single o di co-genitori di famiglie omogenitoriali”.
E’ terribile pensare, però, che tutto questo potrebbe non bastare. “In qualunque momento qualcuno potrebbe opporsi – spiega Anna – Certo, io dovrei andare in tribunale e far valere questo documento, ma passerebbe del tempo”. “Considera che io ho un pessimo rapporto con mia madre, che è molto omofoba – dice Francesca, amara – C’è la possibilità che, in caso mi succeda qualcosa, le venga voglia di fare la nonna e accampi diritti su questo bambino”.
Per fortuna, però, fin da quando Francesca era in ospedale per il parto, tutto è filato liscio. “Era appena nato, lo avevano messo sulla sua pancia…Mi hanno detto ‘Vieni con me’. – ricorda Anna, commossa – E insieme siamo andati a fargli fare il bagnetto…E’ stato bellissimo, ma c’è chi è stato meno fortunato di noi”.
Nonostante tutto questo, però, sono molte le cose che fanno pensare che il tessuto sociale sia pronto ad accettare una famiglia come quella di Anna e Francesca senza scomporsi né giudicare – né, peggio, ostacolarne la vita quotidiana.
“Nicola andrà al nido da settembre. Ne abbiamo già visitato alcuni, e in uno abbiamo detto che siamo due mamme. Sai cosa ci hanno risposto? ‘Oh, finalmente!’”, raccontano divertite. Gli amici della coppia non potrebbero essere più contenti (“Nicola ha un sacco di zii”), i vicini di casa sanno e non commentano, e le famiglie, dopo qualche resistenza, hanno ceduto davanti all’idea di diventare nuovamente chi nonni, chi zii.
Ma quando la porta di casa si chiude, come vive una famiglia con due mamme? “E’ bellissimo, perché non ci sono ruoli – spiega Francesca – L’unica differenza è che io lo sto ancora allattando, e questo crea ovviamente un vincolo diverso”. E la mamma non biologica, non teme di sentirsi legata in maniera meno stretta al figlio di quanto non sia l’altra mamma? “Mentre era in pancia gli parlavo tutti i giorni, gli cantavo la ninna nanna… – mi dice Anna – Ma credo che la natura sia perfetta: il legame è diverso. È chiaro che c’è una leggera differenza tra quello che fa lei e quello che faccio io, ma non perché abbiamo definito dei ruoli. In realtà – si interrompe – io so che impazzirei se mi dovessero portare via Nicola. Ho dei nipoti a cui voglio bene, ero abituata ai bambini. Ma quello che ho con lui è un legame che io non potevo immaginare prima, è qualcosa di troppo forte”.
Presto Nicola inizierà a fare domande. Ma le due donne non temono quel momento: “Ci abbiamo pensato, certo – ma non siamo preoccupate – Gli racconteremo la verità, con i nostri tempi”.
Le ansie sono altre, “quelle di qualunque genitore” e, secondo Anna, “sono perfino peggiorate da quando lui è nato”. Ma, proprio come qualunque altro genitore, questo non basta a scoraggiare Anna e Francesca. Anzi: non è detto che Nicola rimanga il loro unico figlio. “Abbiamo bellissime esperienze con le nostre sorelle – raccontano – e sarebbe il massimo per noi dare la stessa cosa anche a lui, ci dispiacerebbe lasciarlo solo. Vedremo”.
Per allora, sarebbe lecito sperare che questa famiglia potesse incontrare meno ostacoli. “Ci auguriamo che ci possano essere più tutele per nostro figlio: la sua continuità affettiva è importantissima – spiegano – Sono le leggi che mancano, per colpa dei partiti che hanno paura di perdere voti. Ma il tessuto sociale è pronto: nessuno ci ha giudicato male, anzi”.
Una felicità, un’accoglienza e una comprensione che ha quasi spiazzato le due donne. A raccontarlo sono le parole di un’amica di Anna: “Quando mi ha detto di essere omosessuale e che volevano avere un figlio – ricorda – ho pensato a quelle che potevano essere le loro difficoltà. Mi ha fatto riflettere. Se un po’ di tempo fa mi avessero chiesto cosa pensassi dei diritti delle coppie omosessuali’, io avrei risposto: ‘Ma perché, di cosa hanno bisogno?’. Adesso la vedo sotto tutta un’altra ottica. E’ un peccato che molti non possano conoscere la loro realtà da vicino, perché così capirebbero”.

Trovate l’articolo originale al link

https://www.reggionline.com/nicola-ha-due-mamme-una-famiglia-arcobaleno-reggiana/

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